provenza

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martedì 13 gennaio 2015

Pochi minuti di immagini, un mare di emozioni, qualche considerazione.


link al video  Vai Moto... Fabrizio Meoni 2001
Sono passati 10 anni dalla mia prima esperienza di deserto e quasi 5 dall'ultima volta che misi le ruote di una moto dentro quella splendida sensazione che è guidare nella sabbia africana.
Il video dell'inarrivabile - umanamente e tecnicamente parlando - e compianto Meoni mi ha ritrasportato là, tra le dune dei deserti che ho percorso.
Ma non sono state le sole immagini quanto le sue parole a darmi i brividi.
La paura, il blocco da essa provocato, gli altri piloti con cui stai correndo al limite, il rapporto con la moto, tanto intimo da far si che ci si parli assieme raccomandandosi che tutto vada bene.
" Dai Moto.... forza Moto..."
E' una incitazione a se stessi per uscire da quel tunnel di insicurezza che il procedere ad alta velocità sul terreno inconsistente necessariamente crea in te.
Si, quel senso di instabilità che chi ha corso nelle sottili sabbie sahariane ben ricorda, e che rappresenta in fondo, nella mia esperienza di vita, anche la vacuità delle nostre certezze umane...
Ma anche delle sue certezze: laggiù lui concluse pochi anni dopo la sua breve vita da eroe.
Mi ritornano in mente le dune altissime, le cadute, le costole incrinate, i due colori dominati, quello del cielo e quello della sabbia, il fumo dei fuochi di legno di acacia, i panini con tonno in scatola e sabbia, gli occhi dei compagni di avventura colmi di silenziosa meraviglia e lucidi per la fatica e il vento polveroso, il rumore dei monocilindrici che rompeva la quiete eterna del deserto con toni sempre diversi imposti dal rotolare delle ruote tassellate, che venivano ora risucchiate ora sputate dalla sabbia.
Ricordo il giorno in cui ho voluto fissare su di me per sempre, anche esteriormente, tutte queste sensazioni, con un tatuaggio le cui lettere arabe riportano il soprannome di un altro eroico viaggiatore del deserto, László Von Almásy che in altri tempi e con altri mezzi fu ammaliato dal mistero di Zerzura.
Ricordo che tra un viaggio e l'altro curavo il mio fisico per arrivare al giorno della partenza preparato e allenato, con la resistenza necessaria; esercizi in palestra, nuoto, tanto enduro nostrano con la mia Yamaha. E stavo bene, sicuramente più di adesso, dentro e fuori.
Da allora nella mia vita sono cambiate tante cose e non so se e quando tornerò a provare nuovamente l'emozione di domare una moto che serpeggia nella sabbia. Emozione unica e impareggiabile e, lasciatemi dire, non per tutti.
Ero solo, da solo a confrontarmi con le mie capacità, con i miei riflessi, con la mia resistenza, con tutte le insidie di un ambiente ostile e primordiale. Potevo contare solo su di me per sopravvivere perchè il minimo errore poteva essere causa di conseguenze estreme.
Se sbagliavo era colpa mia, solo mia e dovevo poi fare i conti solo con me stesso, o con quello che ne rimaneva...
Quando il giorno finiva mettevo da parte il mio individualismo estremo e mi sedevo davanti ad un fuoco con tutti gli altri per condividere le mie esperienze e le mie emozioni in un momento catartico, assolutamente piacevole e necessario.

Tutto questo pathos non sono riuscito a trovarlo nelle esperienze vissute successivamente con altre attività che ho intrapreso.
E' mancata l'adrenalina, è mancatala la preparazione, è mancato il climax crescente man mano che si avvicinava "il giorno".
Ma forse mi è mancata più di tutto la solitudine. Si, quella completa solitudine in cui metti alla prova te stesso, in cui te la giochi alla pari con la signora in nero.
E allora mi faccio una promessa.
Ancora una volta... si, almeno ancora una volta voglio immergermi nel grande mare di sabbia, senza vele, senza equipaggio, senza null'altro che un casco in testa, degli stivali acciaccati ai piedi e una moto sotto il culo, e correre, correre, correre, lasciando alle mie spalle una nuvola di sabbia che dopo poco, cadendo al suolo, coprirà ogni traccia del mio passaggio.

Da solo.